DOPO LA CONFESSIONE SHOCK DI LANCE ARMSTRONG CHI RESTITUIRA’ A FILIPPO SIMEONI LA PARTE PERDUTA DI UNA CARRIERA INGIUSTAMENTE SPEZZATA
Il fatto che Lance Edward Armstrong si dopasse non sorprende nessuno che abbia un minimo di dimestichezza con la pratica sportiva e la capacità di valutare la differenza tra gli uomini e gli extraterrestri, capaci di correre a tempo da record per decine di giorni per centinaia di chilometri al giorno, vincendo senza soluzione di continuità. Però, per quello che ci riguarda, non possiamo
dimenticare il comportamento antisportivo di Lance nei confronti dei colleghi, che il qualche modo lo contrastavano e lo contestavano. Uno per tutti, il Campione d‟Italia
Filippo Simeoni (Premio Nazionale Fair Play 2008) estromesso dal Giro d‟Italia del 2009 per compiacere il superdopato ( per sua ammissione ), celebrato “campionissimo” Lance Armstrong e costretto con la stessa FCI ad una amara conclusione: ovvero che la dignità ha un prezzo quasi insostenibile. Chi restituirà però a Simeoni la parte perduta di una carriera ingiustamente spezzata ?
Questo, per dire che la mancanza di fair play e le responsabilità dell‟illecito sportivo sono anche a carico degli organizzatori che, non trovando la forza di cambiare registro per rendere le prove agonistiche alla misura dell‟uomo, finiscono per favorire proprio coloro che ricorrono al doping
A Filippo Simeoni, il 30 Gennaio 2009, era stato consegnato, dal Presidente Ruggero Alcanterini, il “Premio Fair Play 2008” per le sue dichiarazioni di forte disponibilità al dialogo e alle cooperazione con il suo avversario sportivo storico, l‟americano Lance Armstrong.
“Ho vinto il titolo di campione italiano a cui pensavo fin da bambino – aveva dichiarato Simeoni – “Speravo di poter mostrare la maglia tricolore nella competizione più importante, il Giro. Penso che il mancato invito della mia squadra al Giro d’Italia non dipenda dalle mie vicende passate e dalla mia rivalità con il campione dei campioni Lance Armstrong. Lui è un mito ed è testimonial per la ricerca contro il cancro. Io sono il campione d’Italia e testimonial dell’Avis”.
Sarebbe stato un gesto straordinario per tutti gli sportivi al mondo quello di abbinare i due progetti di solidarietà proprio al Giro del Centenario, fra due uomini che in passato erano stati accesi rivali.”
Se dovessi capire che sono io la causa per la mancata partecipazione al Giro del team Ceramica Flaminia Bossini Docce – aggiunse Simeoni – non esiterei ad abbandonare l’attività per il bene dei miei formidabili compagni di squadra“.
Ma cosa era successo tra i due ? L’americano, sette volte vincitore del Tour de France, aveva espressamente chiesto la testa di
Simeoni, per partecipare al Giro del Centenario. Che c’entrava Simeoni con Armstrong? E’ una storia di litigi e contenziosi che comincia nel 2004, quando Simeoni ammise alla giustizia sportiva di aver usato Eritropoietina (e fu squalificato), aggiunse anche il nome del medico, il dottor Michele Ferrari, cioè lo stesso preparatore di Armstrong, il quale si sentì colpito ed accusato dall’italiano. Prima gli diede del bugiardo, e poi lo “punì’ al Tour de France, edizione 2004, durante una tappa: Simeoni era in fuga (non solitaria) innocua per le sorti della classifica, ma Armstrong – già in maglia gialla – si prese la briga di accelerare e andare a riprendere l’azzurro per poi dirgli in faccia: “Tu non vai da nessuna parte”. Il tempo non ha placato gli animi. Recentemente proprio Simeoni aveva ricordato quegli episodi:
“Io non avevo detto nulla contro lui, invece fui duramente criticato da Armstrong e poi anche da altri che evidentemente preferivano schierarsi contro di me e tenersi buono l’americano. Armstrong ha condizionato e danneggiato la mia carriera, ma verso di lui non provo odio né rancore, semmai molto dispiacere. Mi diede del bugiardo su questioni molto delicate”. E, sul suo ritorno: “Torna perché la sua immagine è stata macchiata da tante insinuazioni di doping, c’è bisogno di ripulirla. Dicono che voglia puntare alla carriera politica e diventare governatore del Texas: deve dimostrare di non avere nulla a che fare con il doping“.
Ma non è stato così. Il tempo ha dato ragione a Simeoni e l’ex ciclista americano, Lance Armstrong, ha riconosciuto per la prima volta che utilizzò sostanze proibite per migliorare il suo rendimento a metà degli anni ’90, in un’epoca in cui ancora non gli era stato diagnosticato il cancro. Il campione, un tempo idolatrato dagli amanti delle due ruote e oggi caduto in disgrazia. Ha raccontato, rivela il quotidiano americano Usa Today, nell’intervista esclusiva concessa ad Oprah Winfrey.
Armstron ha sempre smentito con forza di aver fatto uso di sostanze vietate e non e’ mai risultato positivo ai test anti-doping. “Mi sono dopato in tutti i sette Tour vinti, senza il doping sarebbe stato impossibile vincerli. Non ho inventato io la cultura del doping, ma non ho nemmeno cercato di fermarla”.
Epo, ormone della crescita, testosterone, doping ematico.
Lance Armstrong non si e’ fatto mancare niente. E Lance Armstrong confessa: “Impossibile vincere sette Tour senza doping”. Sette Tour de France di fila tra il 1999 e il 2005. Il 41enne ex corridore di Austin, dopo aver negato per tutta la sua carriera di aver barato, si arrende, vuota il sacco e confessa. Lo ha fatto in una lunga intervista (due ore e mezza) a Oprah Winfrey, la signora della tv americana e tra le donne più influenti del mondo dei mass media.
“Forse e’ troppo tardi, questa situazione è tutta una grande bugia che ho ripetuto tante volte”. Una storia perfetta, di chi aveva superato una grave malattia, vinto il Tour, con un matrimonio perfetto, due figli. L’ex corridore è stato squalificato a vita dall’Usada e privato di tutti i risultati ottenuti dall’1 agosto ’98 in poi, sette vittorie alla Grand Boucle, il bronzo olimpico di Sydney, non nega nulla, ammette che il sistema doping adottato durante la sua carriera era studiato, “vincere era la cosa che mi interessava di più, ma niente a che fare con quello della Germania dell’Est negli anni Settanta-Ottanta” – precisa
Armstrong, che prende le difese di Michele Ferrari – ” lo vedo come un brav’uomo” – assicurando che – “l’ultima volta che ho superato la linea e’ stato nel 2005”. Dunque niente ricorso al doping quando ha deciso di tornare in sella quattro anni dopo.
Tutto è cominciato col cancro ai testicoli, “Prima della diagnosi ero competitivo ma poi ho portato nel ciclismo l’atteggiamento spietato del vincere a tutti i costi che ho assunto combattendo la malattia”. Ma nega di aver mai costretto i compagni a imitarlo: “Ero il leader della squadra ma non c’e’ mai stato da parte mia un ordine diretto, non e’ mai successo. Eravamo tutti adulti e facevamo le nostre scelte, c’erano anche compagni che non si dopavano”. Evasivo su come superasse i controlli: “All’epoca non erano molti i test fuori dalle competizioni per cui ti ripulivi per le corse”, e ammette che solo in un caso ha avuto un aiuto, con un certificato medico retrodatato per una pomata che gli ha consentito di giustificare una positività agli steroidi al Tour „99.
Per quanto riguarda invece la presunta positività al Giro di Svizzera 2001 che sarebbe stata insabbiata dall’Uci, dietro una sua cospicua donazione (100 mila dollari nel 2005), l’ex corridore assicura che “non è vero, mi avevano chiesto un aiuto e l’ho fatto. Ma non c’era alcun test positivo, nessun incontro segreto, non sono un fan dell’Uci ma questa storia non e’ vera”. Armstrong si dice ora pronto a collaborare con l’Usada, a presentarsi davanti all’eventuale commissione per la verità e la riconciliazione. “Ho sbagliato, ne sto pagando il prezzo e me lo merito”.
E Filippo Simeoni, ora, come ne esce? Ecco le dichiarazioni dell‟ex campione italiano a Radio Sportiva “La confessione di Armstrong? Capisco tutto il clamore per l’ammissione, però per me non è una novità. Mi lasciano indifferente. La realtà in quegli anni è quella. Lo ho vissuta, la conosco, sono consapevole di cosa si faceva in quegli anni. Quando sento gli addetti ai lavori che si meravigliano, mi viene tanta amarezza. E’ come nascondersi dietro un dito. È giusto che sia uscita la verità, ma ne sta uscendo ancora poca. Vediamo ora la seconda puntata. I vertici del ciclismo che restano? Tutto ciò è avvenuto con la complicità di chi è in alto. Ci vuole una presa di coscienza generale di tutte le componenti. Il ciclismo è stato gestito male, queste sono umiliazioni per chi ama questo sport. Gli scheletri nell’armadio ci sono, mi auguro che si abbia la forza per cambiare questa generazione di persone che hanno fatto male al ciclismo. Armstrong che non si dichiara imbroglione? Il suo caso è complesso, gli atleti di vertice all’epoca potevano pagare e rivolgersi a professionisti che permettessero loro di doparsi “meglio”, per non essere scoperti . C’erano corridori puliti, ma che non vincevano mentre altri si dopavano in maniera sofisticata. E lui faceva parte di quella categoria”
Il doping sicuramente ha due principali motivazioni: i soldi ed il successo. Senza questi due stimoli ci sarebbe meno interesse a vincere. Il Giro e il Tour, poi, per attirare gli sponsor devono essere il più accattivanti possibile per il pubblico e le TV. Percorsi incantevoli dal punto di vista paesaggistico e allo stesso tempo veloci. Le tappe hanno anche tre o quattro premi intermedi: la
salita, la discesa, la velocità, il cronometro. E siccome i partecipanti sono un po‟ tutti sullo stesso livello, ecco che per superare la fatica ci si aiuta con le sostanze chimiche o con accorgimenti sempre più sofisticati, sempre più difficili da individuare. La
World AntiDoping Agency (WADA), è oggi l‟Organismo internazionale per la normativa antidoping alla quale ogni Organo Sportivo Internazionale aderisce ( per noi il CONI e di conseguenza tutte le Federazioni e Associazioni sportive e benemerite) . I principali documenti emanati dalla WADA sono il Programma Mondiale Antidoping, le cui due finalità sono quella di tutelare il diritto degli Atleti a praticare uno sport libero dal doping promuovendo la salute, la lealtà e l‟uguaglianza di tutti gli Atleti del mondo e quella di garantire l‟applicazione di programmi antidoping armonizzati, coordinati ed efficaci sia a livello mondiale che internazionale, la Lista delle Sostanze Proibite e gli Standard internazionali per le esenzioni terapeutiche. Le sostante vietate sono innumerevoli: stimolanti, narcotici, anabolizzanti, diuretici, ormoni, oltre agli agenti mascheranti, cioè sostanze che hanno la capacità di mascherare la presenza di un‟altra sosta dopante nelle urine o nel sangue. E‟ vietato anche il doping ematico, cioè le autotrasfusioni, l‟uso di cannabis, alcool, anestetici locali, cortisonici, betabloccanti. I migliori dieci atleti al mondo delle varie discipline entrano automaticamente a fare parte del programma di sorveglianza Wada e sono soggetti alla compilazione del WHEREABOUTS INFORMATION FORM. Il documento deve essere presentato trimestralmente indicando per ogni giorno di calendario le località di allenamento, gli orari e il luogo dove l‟atleta soggiorna regolarmente. L’atleta è obbligato ad indicare un periodo di 60 minuti dove può essere trovato per effettuare il test Antidoping. Se l‟atleta non viene trovato viene sanzionato con un Richiamo Pubblico dalla federazione di appartenenza. Nel caso si evidenzino tre mancati controlli nell‟arco di 18 mesi scatta automaticamente la squalifica per due anni. Ogni variazione del programma deve essere comunicata alla Wada almeno 24 ore prima. Questo programma nasce per proteggere l‟integrità dello Sport e gli atleti puliti, un passo importante nella lotta al Doping.
Con il doping oltretutto si rischia la vita e se si aggiunge anche la velocità e la scarsa protezione, oramai le corse ciclistiche, per assicurare la spettacolarità, sono sempre più rischiose. Quando non ci scappa il morto, specialmente nelle discese, e le cadute, quando ti salvi, sono devastanti.
Ci siamo occupati anche del problema della sicurezza in un articolo del 13 maggio 2010: perché credevamo che la morte di un ciclista al giro d‟Italia fosse una fatto eccezionale, imprevedibile.
Invece abbiamo constatato che i concorrenti sono costretti a spericolate acrobazie, per superare le buche delle strade, l‟assalto dei tifosi, le moto e le auto di servizio o un cane che attraversa la strada, le insidie della pioggia e del fango, quando addirittura si procede per strade sterrate, per ricordare il Giro del passato.
La corsa a tappe del Giro d‟Italia del 2011, a detta dei lettori di cyclingnews.com, sito web (inglese) – tra i più cliccati e autorevoli – è stata una delle più belle, incerte e appassionanti. Negli oltre 3.000 chilometri, è stato difficile annoiarsi, ma
Wouter Weylandt, corridore belga di 25 anni, è morto dopo una caduta sulla discesa del Bocco, nel comune di Mezzanego – Chiavari. Il Giro sicuramente, non lo si può negare, è molto bello, anche perché l‟Italia è il più bel paese del mondo. Il Tour de France, è secondo, terzo il Giro di California, quarto la Vuelta e quinto il Giro di Svizzera.
I percorsi studiati danno la preferenza alla bellezza del paesaggio, ma anche alle difficoltà e alla importanza che gli amministratori locali attribuiscono al territorio che si attraversa e, soprattutto, a quello che pretendono gli sponsor e le TV. Si preferisce così far rischiare la vita ai corridori piuttosto che scegliere un percorso meno bello, ma più sicuro, con belle strade, senza percorrere le discese pericolose, senza gallerie buie, senza burroni.
A leggere le cronache del passato quasi ogni anno c‟è qualcuno che ci lascia ” le penne”. Nel Giro del 2009 il ciclista
Pedro Horrillo Munoz, in una discesa, è scampato miracolosamente alla morte dopo la caduta in un burrone, mentre uno dei motociclisti, al seguito della corsa rosa, Fabio Saccani, 69 anni, originario di Carpi (Modena), è morto a bordo della propria moto, mentre stava raggiungendo il punto di partenza della decima tappa, da Cuneo a Pinerolo.
Il Giro attraversa l‟Italia da Nord a Sud, da Sud a Nord, ed ora si parte addirittura da una città europea, in Francia, Belgio, Danimarca, attraversando le città più belle, le valli e i monti.
Pianura, salite e discese. Discese che, a volte, portano i corridori a spingere sui pedali fino ad arrivare a velocità intollerabili per il mezzo /bici, praticamente senza freni, con una ruota tubolare di mezzo centimetro. Discese talmente pericolose che i motociclisti al seguito non riescono a star dietro ai corridori e gli elicotteri non possono atterrare per i soccorsi.
Le protezioni sono insicure, sia delle strade, sia dell‟abbigliamento. Come sicurezza c‟è solo un caschetto di poliuretano espanso rivestito da una copertura più rigida, che, ora è anche di carbonio, ma, tra l‟altro, lascia scoperta l‟intera area della faccia e del mento. L‟abbigliamento è simile a un costume da bagno, come avere niente addosso, per rispettare l‟aerodinamicità. E‟ l‟incoscienza che spinge i corridori a rischiare la vita o i forti guadagni, che fanno andare oltre i limiti dell‟impossibile ?
La scelta del percorso determina la spettacolarità ma anche il grado di pericolosità. E la sicurezza ? Fair Play vuol dire ” etica sportiva” e cosa c‟è di etico in un percorso dove si rischia la vita?
In una discesa a 80 km all‟ora, con una bici che pesa 4 chili e mezzo, con una ruota tubolare di mezzo centimetro, con freni improbabili, vestito di niente ed un casco che non ti salva se cadi, è una follia. Così il Giro e le corse ciclistiche, per assurdo, risultano più pericolose di quelle motociclistiche, dove nei circuiti ci sono le curve con l‟area di scivolo, le balle di fieno, i copertoni di gomma. Nell’edizione del 1995 del Tour un compagno di squadra dello stesso
Armstrong, Fabio Casartelli, morì durante la quindicesima tappa, dopo aver battuto violentemente la testa a seguito di una caduta in discesa. Tre giorni dopo, Armstrong vinse la tappa alzando un dito al cielo e dedicando la vittoria allo sfortunato compagno.
La piaga del doping e la pericolosità del ciclismo, purtroppo, non sono fatti recenti: chi può dimenticare la vicenda di
Eddy Mercks, grande ciclista belga, soprannominato il “Cannibale” per la sua voglia di vincere sempre e di non lasciare nulla agli avversari ? E‟ stato considerato da molti il più forte ciclista di tutti i tempi e il miglior sportivo belga di sempre. Jacques Goddet, storico patron del Tour de France, indicò Fausto Coppi come «il più grande» ed Eddy Merckx come «il più forte». Anche Mercks fu coinvolto sia in una vicenda di doping e in un incidente pericolosissimo. Nel 1969 completò il tris alla Milano-Sanremo, eguagliando Fausto Coppi. Per la sua ottima condizione di forma, al Giro d’Italia sembrava avviato verso un altro trionfo, ma così non fu. Prima dell’inizio della diciassettesima tappa che, quel 2 giugno, avrebbe portato il gruppo da Celle Ligure a Pavia, Merckx venne infatti escluso dalla corsa perché trovato positivo, nel controllo antidoping svolto dai commissari dell’UCI il giorno prima, alla fencamfamina, un anfetaminico commercializzato sotto i marchi Ritolin, Reactivan o Euvitol. In quel momento stava vestendo la maglia rosa per il sesto giorno, e aveva già vinto quattro tappe. La notizia suscitò grande scalpore, e la stampa belga parlò subito di una “macchinazione”. Il belga dovette fare le valigie e, a bordo dell’aereo reale, tornare a casa. Gimondi, a quel punto nuovo leader della generale (era a 1’41” dal belga), rifiutò di indossare la maglia rosa, ma vincerà comunque quel Giro. Doveva essere sospeso per un mese, Merckx, e non avrebbe di conseguenza potuto correre il Tour de France; un’inchiesta ordinata dall’allora presidente UCI Adriano Rodoni (che chiamò in causa anche i ministri degli
Esteri di Italia e Belgio, vale a dire
Pierre Harmel e Pietro Nenni) stabilì però che il campione belga aveva agito in buona fede e che poteva dunque essere riammesso alle gare, giusto in tempo per la corsa francese. Il fiammingo rientrò così al Tour, al quale partecipava per la prima volta, e semplicemente lo dominò. Il 9 settembre di quell’anno, tuttavia, il campione fiammingo fu vittima di un grave incidente durante una prova dietro il derny (in scia di una motocicletta) nel velodromo di Blois. Nella caduta, che coinvolse anche la moto che lo guidava – e che risultò fatale per il pilota in sella, l’allenatore Fernand Wambst – Merckx si procurò una profonda ferita alla testa,
rimanendo a terra privo di sensi. Si riprese, seppur a fatica, in poche settimane, ma gli venne diagnosticato uno spostamento al bacino e una contusione vertebrale.
Oramai i rischi e le fatiche nelle corse ciclistiche sono ai limiti della sostenibilità. Ma il fisico umano ha dei limiti e così per arrivare fino alla fine, se non cadi prima, ti aiuti con qualche sostanza. Ma, come dice Armstrong, “spesso sotto il controllo e con la complicità dei tuoi medici.”
Per fortuna, e questo ci consola, ci sono anche tanti corridori che ancora arrivano con la forza dei propri muscoli e del cervello. Si perché se sei un atleta che usa il cervello e crede nelle sue forze e nella sua dignità, ti alleni, sudi, cadi, ti rialzi e arrivi lo stesso, forse non sempre tra i primi, ma pulito.
(Ruggero Alcanterini & Giorgio de Tommaso) Redazione CNIFP
* IMMAGINI DA ARCHIVI E COLLEZIONI DEL Centro Studi Documentazione Ricerche Altis” – CNIFP –